Responsabilità professionale medica

Medico, quali responsabilità?  

Quante volte ci siamo domandati, innanzi a fatti di cronaca relativi al sistema sanitario nazionale, se la condotta del medico sia stata legittima o meno, professionale o imperita, diligente o imprudente. E’ ormai pacifico che il punto di partenza al fine di operare una giusta analisi sia se, innanzi tutto, fosse acquisito, alla fonte, il consenso informato del paziente. Negli Stati Uniti d’America l’informed consent principle è un istituto da tempo consolidato, fulcro di una relazione che intercorrere tra il medico ed il paziente. Anche in Italia è stata intrapresa questa via di comunicazione tra le parti, aumentando la competenza, la consapevolezza e facendo assumere a ciascun soggetto le proprie responsabilità. Le più recenti pronunzie della Suprema Corte di Cassazione si orientano sancendo il principio che il medico è sempre legittimato ad effettuare il trattamento terapeutico giudicato necessario per la salvaguardia della salute del paziente, affidato alle sue cure, anche in mancanza di esplicito consenso, dovendosi invece ritenere insuperabile l’espresso libero e consapevole rifiuto manifestato dal paziente, ancorché l’omissione dell’intervento possa cagionare un pericolo o un aggravamento dello stato di salute o persino la morte dell’infermo, afferendo, il consenso, alla libertà morale del soggetto ed alla sua autodeterminazione. Il consenso informato correttamente formatosi (tenuto conto del livello culturale del malato, dell’attività lavorativa svolta, delle sue relazioni di vita, della chiarezza del modello ecc…) ha il fine di legittimare l’intervento clinico che altrimenti sarebbe illecito, ma non ha nulla a che vedere con il sacrosanto diritto del paziente ad ottenere comunque una prestazione medica esatta; principio, quest’ultimo, che opera sul diverso piano del risultato che il paziente intende conseguire e che deve essere correttamente informato o meno sul punto. Su quest’ultimo argomento sono importantissime le informazioni pre-operatorie ad esempio in tema di chirurgia plastica estetica, quelle informazione dovute dal professionista nel prospettare realisticamente la possibilità dell’ottenimento del risultato perseguito che miri al miglioramento estetico del paziente. Discorso a parte sono le informazioni che riguardino i casi di chirurgia plastica ricostituiva, assolvendo in tali casi l’obbligo di informazione il professionista che renda edotto il paziente di quegli eventuali esiti che potrebbero rendere vana l’operazione non comportando un effettivo miglioramento rispetto alla situazione preesistente. In ogni caso, una volta riconosciuto al consenso informato un ruolo di assoluto rilievo, corre l’obbligo dire che al fine di poter stabilire se vi sia una responsabilità medica rilevabile sotto il profilo giuridico si debba dimostrare il nesso eziologico tra la condotta attiva od omissiva del sanitario e l’evento lesivo senza prescindere da tutti gli elementi concernenti l’evento (es. causa di morte). Solo conoscendo tutti gli elementi di fatto e scientifici della malattia e avvalendosi delle leggi statistiche o scientifiche e delle massime di esperienza che si attagliano al caso concreto, che è possibile analizzare la condotta del medico. Questi gli elementi di fatto e giuridici che si frappongono tra paziente e medico, ma non vi è ombra di dubbio che si debbano percorrere inoltre altre vie, quali quelle del rapporto fiduciario ed etico. Si vuol dire con tale affermazione, che se da una parte si trova giusto che vengano accertati prima e, puniti poi, fatti di conclamata “mala sanità”, non è detto che tutti gli eventi patologici da cui è scaturito un peggioramento della malattia, se non il decesso del paziente, debbano sempre essere fonte di denuncie e ricorsi giudiziari, inibendo di fatto l’attività professionale del medico, fosse solo sotto il profilo psicologico, contaminando quella serenità necessaria e prodromica ad ogni intervento. Se vi è la dignità del paziente da una parte come presidio inalienabile di tutela, dall’altra, vi deve essere anche quella del medico, che ogni giorno affronta il delicato tema della cura delle malattie con grande dedizione, consapevole di muovere i propri respiri professionali negli angusti ambiti di una scienza che esatta non è, per quanto negli ultimi vent’anni abbia fatto passi da gigante. Il quadro normativo nel quale si inserisce la responsabilità del medico, non deve in ogni caso distogliere dalla simultanea responsabilità oggettiva della struttura sanitaria nei confronti del paziente, nel senso che il medico non opera da solo e non è giusto che si assuma tutte le responsabilità del caso, dovendosi infatti aver riguardo anche alla struttura sanitaria, con quali strumenti ed in quali condizioni il professionista ha dovuto esercitare il proprio mandato.
 

RESPONSABILITA’ DELLA STRUTTURA SANITARIA

Abbiamo già visto, sia pur genericamente, quali siano le singole responsabilità ed i diritti degli operatori sanitari che dei pazienti negli ambiti talvolta molto angusti di normative da interpretare. Non va inoltre trascurato che, quando un paziente esige una prestazione sanitaria o lo stesso medico presta la propria opera professionale, vi sia un ruolo importantissimo se non decisivo, giocato dalla struttura sanitaria, entro le cui sfere tutte le figure sin qui ricordate si muovono e che dipendono dalla sua buona gestione. Da qui ovviamente discende la cosiddetta responsabilità della struttura ospedaliera. La Suprema Corte ha sancito da tempo il principio che nei confronti del paziente non si possa distinguere ai fini dell’eventuale responsabilità se si trattasse di struttura privata, pubblica o convenzionata, incombendo su tutte i medesimi obblighi di legge. Una sentenza tra le più recenti - Cassazione nr. 1698/2006 - stabilisce infatti che la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente è di natura contrattuale, in quanto l’accettazione in ospedale o anche in un semplice ricovero ambulatoriale equivale alla conclusione di un contratto, configurando una responsabilità autonoma rispetto a quella del medico. Il principio è sacrosanto, sia a tutela del paziente ma anche dell’operatore sanitario. Ricordiamo brevemente i diversi e precisi obblighi di una struttura sanitaria: dalla fornitura del servizio alberghiero, alla messa a disposizione di personale medico, paramedico, infermieristico, personale delle pulizie, il rifornimento di medicinali, l’acquisto dei macchinari, la conseguente manutenzione, l’impiantistica elettrica, idraulica, i costosissimi circuiti di continuità ecc… Un caso tipico è quello della partoriente che si rivolge ad una casa di cura ma scegliendo fuori dalla struttura il medico curante magari amico di famiglia. Ebbene, la responsabilità dell’ospedale non si risolve esclusivamente con il vitto e l’alloggio, bensì, nella messa a disposizione di tutta la struttura dal personale agli strumenti, di talché, nascerebbe una responsabilità del tutto slegata ed autonoma da quella del medico se solo si dovesse provare che il danno subito dalla paziente risultasse causalmente riconducibile ad una inadempienza alle obbligazioni assunte dalla struttura sanitaria. Un altro esempio, ahimè, non del tutto scolastico è quello delle puerpere che si affidano a strutture molto alla moda frequentate dalle mogli di qualche calciatore o fornite di televisori al plasma in camere singole e ben condizionate, senza accertarsi preventivamente se esse siano fornite - in caso di particolari urgenze o complicanze – di apparecchiature per fronteggiare adeguatamente gravi patologie, come potrebbe essere la sindrome asfittica del neonato od un centro di rianimazione adeguato per la partoriente. Il cosiddetto contratto di spedalità o assistenza sanitaria fa sì che l’ente risponda a titolo contrattuale per l’attività medico chirurgica, per i danni subiti dal paziente a causa della negligente, imperita, imprudente esecuzione della prestazione professionale sia da parte del medico proprio dipendente che del medico che ha operato pur non essendo dipendente ma legato, ad esempio, solo da un “contatto sociale”. Tuttavia, deve essere precisato che, consistendo la prestazione sanitaria in una obbligazione di mezzi, rimarrà a carico del danneggiato la prova dell’esistenza del contratto e dell’aggravamento della patologia o dell’insorgenza della nuova malattia, nonché, del relativo nesso di causalità con l’azione o omissione dei sanitari, residuando a carico di questi o dell’ente ospedaliero, la prova che sia la prestazione professionale che l’intera struttura sanitaria, siano state all’altezza della situazione e che gli esiti negativi si siano verificati a causa di un evento imprevisto se non imprevedibile. 
         

DIRITTI E DOVERI TRA MEDICI E PAZIENTI

Come abbiamo visto in un precedente articolo vi sono precisi criteri indicati sia dalla giurisprudenza che da protocolli sanitari per individuare le responsabilità del medico. Possiamo dire pertanto, che la sfida non di domani ma dell’oggi è quella di adottare da parte del personale sanitario un approccio più trasparente nei confronti dell’utenza che ha diritto di esigere in tempi assai brevi le proprie cartelle cliniche, che non siano un ammasso di carte illeggibili scritte frettolosamente, bensì, ordinate, stampate al computer, relazioni mediche chiare e semplici nella loro analisi munite di firma leggibile in cui i medici che si sono succeduti nelle cure siano facilmente individuabili. Per analogia ricordo quella recente sentenza scritta a mani e non con il computer dal Giudicante e annullata dalle Sezioni Unite della Cassazione, poiché incomprensibile e di conseguenza lesiva del diritto di difesa. Se questo esempio è valso a chiarire la lesione del diritto alla difesa di un imputato, va da sé che per gli stessi motivi si possa ledere il diritto alla salute del paziente che, anche sulle cartaceo ha diritto di poter comprendere i propri itinerari curativi. Ci viene incontro in proposito il combinato disposto dalla  Legge 15 marzo 2010 nr. 38 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 19 marzo 2010 n. 65 che in tema di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore afferma che le strutture sanitarie devono assicurare un programma individuale per il malato e per la sua famiglia nel rispetto di specifici e tassativi principi fondamentali che sono; la tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione, la tutela e la promozione della qualità della vita fino al suo termine, l’adeguato sostegno sanitario e socio assistenziale della persona malata e della famiglia. In buona sostanza la novella legislativa conferisce, al dolore, il rango di malattia sancendo il diritto per i malati di patologie croniche in stato di avanzamento terminale, l’accesso a cure palliative, affermando il principio del sollievo della sofferenza e configurando di conseguenza una nuova responsabilità dell’operatore sanitario e la possibile relativa azione di ristoro del danno. Ancora una volta torna l’importanza della chiarezza della cartella clinica come indicato dall’art. 7 della medesima legge  che impone severi e stringenti obblighi di redazione dalla cui mancanza possono sorgere nuove responsabilità mediche. In ogni caso per non affossare l’intero sistema sanitario già tanto ammalorato, in Italia si avverte l’esigenza di trovare un nuovo equilibrio tra il ruolo necessario ed insostituibile del medico e quello della comunità dei pazienti e, aggiungo, delle loro famiglie che devono essere parte integrante del progetto, si sente la necessità di un nuovo sistema che riequilibri i diritti e i doveri di ogni parte. Il primo, ma non unico passo, per poter riscrivere questo new deal tra paziente e medico è sicuramente quello di iniziare a rivolgersi al proprio medico di base con formule sempre più efficaci. Servizio questo importantissimo non solo per la funzione di filtro che svolge, evitando di affossare gli ospedali con patologie curabili nel proprio studio o a domicilio, bensì, di contatto diretto con i nuclei familiari che deve tendere, con un ruolo importantissimo, a riconciliare l’utenza con la sanità, fornendo di volta in volta servizi sempre più avanzati oltre che un educazione sanitaria di base. Infatti, i medici convenzionati con le Asl devono essere sempre reperibili nei giorni e negli orari stabiliti e questi riferimenti non devono cambiare ad ogni piè sospinto ma devono essere dati certi ed acquisiti, il medico deve fornire all’utenza la “contattabilità” anche nel momento in cui non sia immediatamente reperibile, ovvero, non deve assolutamente nascondersi - come spesso accade - dietro insuperabili segreterie telefoniche, dovrà compiuterizzare in un data base il percorso clinico del proprio convenzionato al fine di poter meglio seguire l’evoluzione delle patologie, fornire ricette chiare e non scritte a caratteri cuneiformi, avere un dialogo sincero ed aperto sulle diagnosi facendo comprendere ai pazienti come le terapie da praticare debbano essere eseguite alla lettera come fossero somministrate all’interno di una struttura ospedaliera, pena l’inefficacia delle stesse. Insomma uno sguardo così fatto di trasparenza, sincerità e comprensione tra le parti, di professionalità ed adeguatezza dei sistemi, non può fare altro che migliorare il rapporto tra gli operatori sanitari ed i pazienti nel solco di una rinnovata fiducia.

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