Violenza domestica… i bambini vittime silenziose ed invisibili

Negli ultimi tempi quanti fatti di cronaca abbiamo sentito relativi ad abusi di autorità, poteri e prerogative proprie delle funzioni educativo-formative in danno dei nostri figli che lasciamo fiduciosi  ed ignari  nelle mani di insegnanti impreparate e violente. Quanti abusi a sfondo sessuale tra le mura domestiche consumati dall’orco celato sotto le mentite spoglie dello zio, del compagno materno se non addirittura del padre naturale. Rispetto a questi casi di violenza conclamata ed eclatante sui quali si può dibattere e cercare di trovare una trama oltre che una soluzione, vi sono altri casi, meno evidenti, ma di altrettanta violenza in danno dei minori che assistono passivi alle violenze perpetrate all’interno del nucleo familiare nei rapporto tra marito/moglie, padre/figli, nonni/genitore e così via, non certo meno gravi e meno degni di essere portati alla luce e che meritano di essere analizzati e, se possibile, risolti sia dalla comunità scientifica che dalle autorità giudiziarie preposte alla vigilanza. Negli Stati Uniti d’America li chiamano  “Witnessing domestic violence”, quei bambini a rischio di violenza domestica indiretta, ovvero, quei piccoli che non subiscono direttamente un evento dannoso, bensì, assistono a fatti cruenti tra i diversi membri della famiglia che coabitano col minore in questione. Di fatto sono piccoli testimoni consapevoli di abusi sessuali, violenze fisiche, psicologiche che si consumano con cadenza quotidiana in seno al nucleo comunque sia composto. Nelle aule processuali emerge sempre più spesso che il figlio, sia pur molto piccolo, si pensava non comprendesse le dinamiche violente accadute in ambito intrafamiliare poiché pur da testimone non fosse in grado di comprendere. Altre volte si pensava che non avesse concretamente assistito ad episodi violenti poiché situato a giocare in ambienti diversi dall’evento violento, ma in realtà le urla, le grida i le forti tenzoni familiari dei soggetto coinvolti raggiungevano ed urtavano comunque la sensibilità del minore che piangendo continuava a fingere spensieratezza e a giocare nella propria stanza. Queste famiglie spesso confondono la chiusura in se stessi dei loro figli riconducendo il tutto a problemi semplicemente caratteriali, non facendosi un esame di coscienza circa le pessime abitudini comportamentali di alcuni membri della famiglia stessa. In realtà pur in tenera età essi percepiscono le tensioni, le frustrazioni ad es. quelle di una madre molestata dal coniuge, della sorella stolkizzata dall’ex fidanzato, assorbendo come una spugna questi modelli comportamentali negativi a causa della continua e costante esposizione al dolore e alla violenza. I bambini che crescono in questi ambiti familiari si sentono custodi silenziosi di un orrore, se non addirittura vengono quasi costretti a mantenere il segreto sull’accaduto, chiudendosi in se stessi, assumendosi un senso di colpa ingiusto, includendo vergogna, tristezza, sensi di rabbia, disturbi del sonno, depressione. I bambini possono mostrare segni di ansia con una capacità di attenzione gravemente scemata che può causare scarso rendimento scolastico, ritardi nello sviluppo, nel dialogo, nelle capacità motorie o nelle abilità cognitive. Alcuni studi hanno rivelato che i bambini che vengono allevati in case dove si perpetrano abusi sia fisici che a carattere psicologico imparano che la violenza è un modo efficace per risolvere i conflitti, replicando di fatto le violenze alle quali hanno assistito nelle relazioni prima tra minori e successivamente adulte, oltre che nelle loro future esperienze genitoriali. Da qui il rischio che per risolvere questi conflitti interni si lascino andare in esperienze di alcool o tossicodipendenza. La famiglia è il luogo per eccellenza della sicurezza, della solidarietà, degli affetti, dei sentimenti, della felicità, della realizzazione personale, della tranquillità, del rispetto, dell’aiuto reciproco, della fedeltà, della condivisione, della coabitazione, del sostegno, dell’amore, del divertimento, del gioco, della crescita. Secondo la Suprema Corte di Cassazione: “La famiglia…omissis…si configura come sede di auto-realizzazione e di crescita, segnata dal reciproco rispetto ed immune da ogni distinzione di ruoli” (Cass. Civ., sez. I, sent. n.9801 del 10.5.2005, FD, n.4/2005, 365). La famiglia è la prima cellula germinale della società all’interno della quale tutto ha inizio, nel bene e nel male. I bambini in questi ambiti diventano vittime dimenticate, figure grige o in ombra che rischiano di subire in via permanente danni psicologici poiché tutto il “volume” di attenzione viene incentrato esclusivamente sul soggetto principale che subisce l’atto virulento. Il punto principale, diventa pertanto, prima di un adeguato ristoro dei danni nella aule giudiziarie per il danno indiretto subito da questi episodi violenti, la prevenzione, la possibilità di intervenire con indagini psicosociali serie sulle famiglie condotte da personale altamente qualificato che conosce in modo eccellente il territorio sul quale opera, mediante l’utilizzo di professionalità molteplici che abbracciano i vari rami complessi delle scienze e della legge e non, come spesso accade, da dipendenti pubblici poco qualificati, male retribuiti e sotto strutturati in sedi fatiscenti e maleodoranti. Solo una conoscenza ben penetrata delle famiglie a cosiddetto rischio da parte delle strutture sociali, può evitare il verificarsi di quei drammi che sconvolgono le nostre menti e le nostre coscienze.Negli ultimi tempi anche il codice di procedura penale ha fornito numerosi strumenti anche a tutela di queste piccole vittime, con misure cautelari e preventive che possono impedire la perpetrazione di condotte abusive e lesive della dignità e della quiete familiare oltre che della buona crescita dei nostri figli.        

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