Sindrome da alienzione parentale

di Domenico Frasca, avvocato del Foro di Milano

La sindrome da alienazione parentale (PAS, acronimo di “'Parental Alienation Syndrome”) è una patologia di natura psichiatrica, riscontrata in alcuni minori a seguito di separazione burrascosa dei genitori, caratterizzata da una marcata ostilità – fino ad assumere, nei casi più estremi, la forma del rifiuto – che il bambino può manifestare nei confronti di uno dei due genitori, solitamente quello non convivente.

La PAS è stata qualificata come disturbo clinico, per la prima volta, nel 1985 dal dottor Richard A. Gardner che, a seguito dei suoi studi, cercava di fornire una prima descrizione del disturbo definendolo “… una patologia che sorge quasi esclusivamente in contesti caratterizzati da controversie circa l’affidamento dei figli. In tali situazioni, uno dei genitori (alienante) mette a punto un programma di demolizione dell’altro genitore (alienato), vittima di tale condotta. Tuttavia, non va confuso con il mero “lavaggio del cervello”, essendo necessario il totale allineamento del bambino rispetto a tale campagna di demolizione …”. Perché possa sussistere la sindrome da alienazione parentale, occorre la compresenza di due elementi fondamentali: l’indottrinamento da parte del genitore alienantee la completa adesione del figlio al pensiero di quest’ultimo. Questi due elementi devono coesistere, non essendo sufficiente, per configurare la PAS, la sussistenza di uno solo dei due. Molti, infatti, come lo stesso Gardner aveva già evidenziato, parlano di PAS anche ove manchi uno dei due presupposti descritti; soprattutto, non tengono sufficientemente conto del fatto che nella PAS fondamentale è la condotta del minore, la sua partecipazione, il suo contributo all'indottrinamento del genitore alienante contro il genitore alienato.

Spesso così si giunge, erroneamente, a parlare di PAS in casi in cui, invece, si riscontra solo una sorta di “lavaggio del cervello”, di condizionamento da parte di un genitore in pregiudizio dell'altro che, quale vittima, vede il proprio figlio giungere ad un vero e proprio rifiuto, immotivato, nei suoi confronti.

In altre circostanze, cosa forse ancor più grave, si parla di PAS innanzi a situazioni in cui il comportamento del minore è giustificato da violenze, abusi, forme di abbandono di uno dei due genitori nei confronti della prole, che causano in quest'ultima un rifiuto della figura genitoriale in questione. In tale ultima circostanza, infatti, il minore allontana con un sostanziale e sincero motivo la figura genitoriale violenta o a lui disinteressata e non, invece, in rappresentazione di un indottrinamento realizzato dall'altro genitore, circostanza caratterizzante appunto la sindrome da alienazione genitoriale.

La sindrome potrà eventualmente  essere configurata qualora il genitore alienante demolisca, in presenza del figlio, la figura genitoriale dell’ex coniuge e che, in virtù di ciò, il bambino inizi a nutrire una forte, ed immotivata, ostilità nei suoi confronti, senza che la condotta del genitore alienato abbia causalmente contribuito alla nascita di tali sentimenti negativi.

La PAS non verrà, invero, riscontrata in tutti quei casi in cui la condotta stessa del genitore alienato (il quale, ad esempio, si sia disinteressato al figlio non convivente) sia la causa del rancore maturato nel bambino .

I maggiori problemi sorgono in quanto la PAS, quale sindrome clinica, non è, ad oggi, accettata da gran parte della comunità scientifica.

L’argomento principale di chi nega l’esistenza della PAS come vera e propria sindrome è la mancanza di un suo riconoscimento formale all'interno delle più rilevanti classificazioni internazionali, prima tra tutte quella contenuta nel DSM-V (''Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders''), peraltro aggiornata nel maggio 2013, o in altre come l'ICD-10 (''International Classification of Diseases'') di cui a breve si avrà la nuova versione ICD-11.

La difficoltà di individuare con certezza, univocità e chiarezza i confini, i caratteri e le manifestazioni di questo disturbo rendono particolarmente difficile la sua affermazione formale come effettiva patologia.

Come precedentemente anticipato, dunque, la mancata affermazione condivisa della PAS come vera e propria sindrome, a livello scientifico internazionale, ne rende particolarmente difficile il riconoscimento nell'ambito giuridico.

Nella pronuncia della Corte di Cassazione, a proposito della questione circa il controverso affido del bambino di Cittadella (PD) (Si ricorderà il caso di quel bambino che nell'ottobre 2012, veniva forzosamente prelevato da scuola al fine di dare esecuzione al provvedimento della Corte d'Appello di Venezia (decreto del 02.08.2012), si evidenzia proprio quella difficoltà di inquadrare definitivamente e chiaramente la PAS quale patologia rilevante in ambito giuridico, a causa dell'assenza di un effettivo, condiviso e formale riconoscimento della stessa nel settore medico-scientifico. La Cassazione, pur senza arrivare a negare l'esistenza generale di questo disturbo in ambito scientifico, conclude che ''di certo, soprattutto in ambito giudiziario, non possano adottarsi delle soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottotese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare''
La domanda che ci si pone pertanto è  se la sindrome da Pas se mai fosse accertata da una perizia giudiziale (figli minori affetti da PAS, ad es.  indotta dal padre avverso la madre o viceversa) possa assumere qualche rilevanza penale. 
Innanzitutto, occorre precisare che certamente la condotta del genitore alienante non configura, ad oggi, una fattispecie autonoma di reato in sede penale.

 Proprio a causa delle numerose critiche che permeano il riconoscimento, in campo scientifico, della PAS, quest’ultima a livello normativo non ha mai trovato ingresso nel nostro ordinamento; non soltanto in sede civile (due disegni di legge volti ad attribuire rilevanza al fenomeno in sede civile, rispettivamente D.D.L. n. 957/2008 e D.D.L. n. 2454/2010, hanno visto naufragare il loro iter parlamentare), ma, a fortiori, in sede penale, ove l’accertamento del fatto deve essere connotato da assoluta certezza e dove vige il divieto di analogia (art. 14 Prel.).

Si potrebbe discutere se l’accertamento circa la sussistenza della sindrome da alienazione parentale, quale disturbo psichiatrico, possa ricadere nell’alveo di altre ipotesi delittuose, in particolare quella di cui all’art. 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia).  

Posto che, tuttavia, per opinione unanime della comunità scientifica il fatto illecito consiste nella condotta del genitore alienante in danno del genitore alienato – e non del figlio minore di cui è stata accertata la PAS – ciò consente di escludere la sussistenza del reato ipotizzato.

Il dolo dei maltrattamenti in famiglia consiste, infatti, nella coscienza e nella volontà di sottoporre il familiare “debole” a continue sofferenze fisiche e morali, con effetti di prostrazione e avvilimento.

Soggetto attivo di tale condotta non può che essere un legato alla vittima da una relazione di tipo familiare, nella quale eserciti arbitrariamente, tramite condotte di tipo degenerativo, la propria supremazia ed autorità di pater familias.

La fattispecie di cui all’art. 572 c.p. è astrattamente configurarabile, dunque, soltanto all’interno del nucleo familiare e non, invero, ove la famiglia sia definitivamente disgregata (come potrebbe avvenire nel frequente caso  in cui i coniugi sono legalmente separati ed entrambi hanno intrapreso stabilmente nuove relazioni sentimentali).

Poiché il reato possa ritenersi sussistente occorre, inoltre, dimostrare il dolo, consistente nella coscienza e nella volontà di cagionare lesioni di natura psichica ai figli, impiegandoli come strumento per perseguire il fine più generale, consistente nel provocare nocumento al genitore alienato allontanandolo definitivamente dai minori.
Tale dimostrazione sarà tanto più difficoltosa in quanto  la condotta del genitore supposto alienato ha contribuito causalmente  a cagionare il distacco affettivo dei figli.

In astratto, comunque, una perizia accertante la sindrome da Pas assunta in sede civile può trovare ingresso nel procedimento penale.

In forza dell’art. 238 c.p.p., infatti, è ammessa l’acquisizione di verbali di prove assunte in un giudizio civile, definito con sentenza che abbia acquistato autorità di giudicato, e possono essere utilizzati contro l’imputato se il suo difensore ha partecipato all’assunzione della prova o se nei suoi confronti, fa stato la sentenza civile.

Dunquese la perizia con la quale è stata accertata la PAS ai fini civilistici fosse confermata a seguito di un giudizio di Cassazione, certamente essa potrebbe verosimilmente trovare ingresso in sede penale, essendo soddisfatte le condizioni dettate dall’art. 238, commi 2 e 2-bis c.p.p.
Tuttavia, non bisogna dimenticare che la PAS non è riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale quale effettiva patologia clinica e, dunque, è del tutto lecito dubitare circa la valenza di tale accertamento in sede giudiziale penale, ove l’accertamento degli elementi costitutivi del reato, deve essere connotato da estremo rigore.
In alcuni casi giudiziari recenti, alcune corti di merito hanno ritenuto che il mobbing, quale reiterazione di condotte vessatorie tali da rendere intollerabile la vita lavorativa, non essendo qualificato come fattispecie autonoma di reato potesse essere sussunto nell’ambito dell’art. 572 c.p. alla stregua, appunto, di una condotta di maltrattamenti in famiglia.

Sulla scorta di tale – a dire il vero, ad oggi isolato – orientamento giurisprudenziale, alcuni potrebbero ritenere applicabile lo stesso ragionamento anche all’ipotesi in commento.  

Adottando, quindi, un concetto di “famiglia” talmente ampio da ricomprendere anche i casi in cui il vincolo familiare o di convivenza sia formalmente escluso, si potrebbe astrattamente ritenere sussumibile la sindrome da alienazione genitoriale nell’ambito di un generale maltrattamento in contesti di vita quotidiana, ancorché slegati dall’ambito strettamente familiare.

Tale assunto non risulta, invero, condivisibile, a meno di non voler svuotare di significato il divieto di analogia vigente in materia penale (art. 14 prel.).

Esclusa dunque, a parere di chi scrive, la sussunzione della PAS nell’ambito dei maltrattamenti in famiglia, ci si è soffermati sulla possibile rilevanza penale della sindrome in argomento nell’ambito di altre fattispecie delittuose concentrandosi, in particolare, sulle lesioni personali.

La definizione di cui all’art. 582 c.p., infatti, è chiara nel ricomprendere nella definizione di “lesione” non soltanto le “malattie nel corpo”, ma anche quelle “nella mente”.

Non si può dunque escludere che la ex moglie, in virtù dell’accertamento contenuto nella perizia elaborata in sede civile (causa di separazione o divorzio), decida di denunciare l’ex marito per condotte lesive della psiche dei figli minori.
In tal caso valgono le considerazioni svolte sopra, a proposito dei maltrattamenti in famiglia: la perizia redatta in sede civile potrà, in astratto, trovare ingresso nel procedimento penale quale elemento di prova circa la sussistenza delle lesioni di natura psichiatrica. Sarà compito della difesa, tuttavia, convincere il Giudice circa l’invalidità dell’accertamento di PAS in sede penale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 582 c.p.
Perché si possa configurare una “lesione personale”, intesa appunto come “malattia”, non si può  infatti non fare riferimento al concetto di “malattia” nell’elaborazione medico-diagnostica e, stante la controversa accettazione della sindrome da alienazione genitoriale quale patologia clinica riconosciuta dalla scienza medica internazionale, il Giudice dovrebbe escludere la sussistenza di uno degli elementi costitutivi del reato (la “malattia”, appunto), con conseguente pronuncia assolutoria.  
Non si può, infine, escludere ad es. che la ex moglie presenti denuncia-querela non tanto – o non solo – per la lesione di natura psichica accertata sui figli minori, bensì lamentando di essere lei stessa vittima del reatoex art. 582 c.p. per l’insorgenza, a seguito della condotta dell’ex marito, di eventuali disturbi quali ansia, depressione o altre patologie di tipo psichico.

In tal caso, sebbene la perizia possa costituire il punto di partenza per eventuali indagini, essa (stante il fatto che l’accertamento ivi contenuto riguarda i figli, e non la donna) non potrà certamente costituire elemento di provadelle lesioni astrattamente asserite dalla donna ai suoi stessi danni.  
Ella, invero, dovrà essere in grado di certificare adeguatamente – fornendo idonea documentazione medico-psichiatrica – eventuali disturbi da lei stessa lamentati.
Sarà onere della donna, inoltre, fornire inconfutabile prova degli altri elementi costitutivi della fattispecie:innanzitutto, della idoneità della condotta del marito a cagionare tali lesioni ed, in secondo luogo, qualora tale prova dovesse dare esito positivo, della sussistenza del nesso causale tra tale condotta e l’insorgenza della patologia, escludendo in maniera inconfutabile che siano intervenuti elementi esterni che abbiano interrotto il nesso di causalità.

Occorre tenere presente, che la materia si presenta connotata da grande incertezza e ciò non può che essere fonte di contrasti, non solo tra imputato e parte civile, ma soprattutto, tra diversi orientamenti giurisprudenziali.

Inoltre, va evidenziato che tutte le possibili ipotesi delittuose, astrattamente ravvisabili nel caso di specie, sono perseguibili d’ufficio e dunque, a differenza dei reati procedibili a querela della persona offesa dal reato, tutte le fattispecie qui esaminate possono essere portate a conoscenza dell’autorità giudiziaria, mediante una semplice denuncia di reato, da parte di chiunque vi abbia interesse e in qualsiasi tempo, senza la previsione di alcun termine decadenziale, salva la considerazione che una denuncia presentata in epoca remota possa avere una minor incidenza e forza rispetto ad altra denuncia presentata ad orologio immediatamente dopo il verificarsi del fatto supposto reato. Alla stregua di tali considerazioni, in conclusione, nulla è da escludere, sebbene per tutti i reati – maltrattamenti in famiglia, mobbing e lesioni personali  - si intravedono ottime chances difensive al fine di escludere conseguenze penali da derivanti dalla sindrome di alienazione parentale.

 

xxsidebar-frasca

Contatti

  • Via Olmetto, 5
  • 20123 Milano